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Proroghe emergenziali senza emergenza nel Paese della burocrazia ostacolante

Il nuovo D.L. n. 44/2021, le proroghe dei precedenti provvedimenti da emergenza covid-19 (ma adesso di fatto svincolate dall’emergenza) e la burocrazia

Il nuovo D.L. n. 44/2021, le proroghe dei precedenti provvedimenti da emergenza covid-19 (ma adesso di fatto svincolate dall’emergenza) e la burocrazia

Il primo di aprile il Governo ha emanato il provvedimento con il quale ha, tra l’altro, prorogato al 31 luglio la normativa emergenziale riguardante lo svolgimento delle udienze da remoto in generale, la proroga della sospensione della prescrizione del reato, i depositi telematici del penale sia tramite portale PST per gli atti specificamente previsti che tramite invio degli atti digitalmente firmati a mezzo pec, laddove previsto (impugnazioni eccetera).

Il provvedimento è in vigore dal 1° aprile stesso.

Più precisamente, dell’art. 6 del D.L. 44 del 1° aprile 2021: il co. 1 modifica il D.L. 28.10.20 n. 137; il co. 2 modifica l’art. 85 D.L. 17-03.20 n. 18.

I due commi suddetti, a parte l’estensione contenuta nel co. 1, lett. “b” n. 2 (che nel procedimento penale estende anche all’appello cautelare reale ex art. 322bis cpp la trattazione da remoto, con possibilità di richiedere la trattazione in presenza fino a 5 giorni prima dell’udienza) e una precisazione inserita dal co. 1, lett. “d” n. 1 secondo la quale, nella fase della chiusura delle indagini preliminari penali ex art. 415bis cpp, il deposito telematico di atti eseguito entro le ore 24,00 del giorno di scadenza è tempestivo (inserimento necessario per la nostra burocrazia), e la regolamentazione delle conseguenze in caso di malfunzionamento del Portale Deposito Atti Penali (contenuta nel n. 2 della lett. “d” del medesimo comma), nella restante parte dispongono la proroga sopra indicata dei termini di utilizzo del sistema telematico, spostandone il termine al 31 luglio 2021.

La proroga era ovviamente necessaria e urgente, in quanto il precedente termine al 30 aprile era in scadenza (se solo si pensa che, nel procedimento penale, per richiedere le udienze in presenza in Corte di Appello il termine è di 15 giorni liberi prima dell’udienza, ma per la medesima richiesta in Corte di Cassazione il termine è di 25 giorni liberi (e quindi per una udienza di lunedì 3 maggio la richiesta andava presentata entro il 7 aprile).

Ma ciò che salta agli occhi, e che sinceramente preoccupa – almeno per quel che riguarda la partecipazione alle udienze (sicuramente quelle penali, per la mia esperienza) – è la tecnica legislativa che ha svincolato tutta la normativa relativa ai depositi e alle udienze (e alla proroga della sospensione della prescrizione del reato) disposta per contenere la diffusione della pandemia dalla situazione emergenziale da covid-19.

Mentre per i depositi di atti in cancelleria ciò è sicuramente un bene (si va verso il normale utilizzo degli strumenti tecnici telematici, sperando che nel frattempo risolvano i problemi tecnici che attualmente colpiscono gravemente il diritto di difesa), preoccupa che si possa pensare di svolgere le udienze da remoto a prescindere dalla pandemia.

E questo anche se il testo dei due D.L. modificati continua a fare riferimento alla situazione pandemica, poiché il termine è attualmente spostato in avanti senza tenere conto di quella situazione emergenziale.

Sembra un primo passo verso quella situazione paventata dai penalisti sin dall’inizio, e smentita all’epoca dal governo (precedente).

E ciò preoccupa, seriamente.

Preoccupa, perché le udienze da remoto per il penale non funzionano, non possono funzionare (a parte forse qualche udienza camerale interlocutoria minore); e lo sanno anche molti giudici che effettivamente fino ad ora hanno cercato di evitarle.

Preoccupa, perché è da miopi pensare di risparmiare qualche soldo con le udienze da remoto a danno della difesa effettiva e concreta in presenza.

Preoccupa, perché nella pratica si teme che andrà avanti più velocemente la normalizzazione delle udienze da remoto piuttosto che l’accettazione da parte degli uffici del deposito degli atti via portale o via pec.

Questa mia ultima riflessione scaturisce peraltro da una doppia vicenda personale accaduta proprio il giorno prima il D.L. in oggetto, il 30 marzo.

L’impressione è, infatti, che ci sia poco da fare: si vuol fare l’Italia del futuro con tutta questa telematica (con norme e regolamenti) ma gli uomini dell’apparato burocratico cercano di bloccare tutto, utilizzando la burocrazia per difendersi dal cittadino (chiamato genericamente “utenza”, con un certo distacco).

Un collega mi dice di chi negli uffici della cassazione ha già detto che boicotterà lo strumento del deposito telematico degli atti civili nel processo di cassazione; si vedrà.

Le mie esperienze del giorno 30 marzo sono:

Esperienza 1. Dovendo depositare un ricorso in Cassazione con scadenza 30 marzo, avverso ordinanza della corte D’Appello di Bologna, contavo sull’invio tramite pec del ricorso (come previsto dalla legge).

Al mattino del 30 (sì, l’ultimo giorno, mannaggia a me!) ho scoperto che la corte D’Appello di Bologna, che evidentemente vive ancora nel tempo della gloriosa fondazione dell’Università (1089), in novembre ha emesso un provvedimento in base al quale non dedica alcuna delle pec DGSIA alla ricezione dei ricorsi in cassazione, affermando che saranno accettati solo i ricorsi cartacei; ciò in quanto non vi è personale e strumentazione per gestire la ricezione degli invii tramite pec (e la conseguente registrazione prevista) dei ricorsi in cassazione avverso le sentenze e i provvedimenti emessi dalla Corte bolognese.

Con mio stato d’ansia conseguente (annullamento di trasferta prevista a Venezia in mattinata del 30 per accesso prenotato in Tribunale, stampa del ricorso cartaceo e organizzazione per il deposito in mattinata del ricorso presso la cancelleria vicentina eccetera) …

Esperienza 2. Devo chiedere copia di una sentenza del tribunale di Reggio Emilia, emessa il primo marzo con deposito ordinario della motivazione (15 giorni) e conseguente scadenza dell’appello al 15 aprile.

Per un paio di settimane la mia segretaria cerca di chiamare i numeri di telefono della cancelleria (ai numeri indicati nel sito), ma non risponde mai nessuno.

Preoccupato, il 30 mattina (dopo l’ansia del deposito in cancelleria del ricorso in cassazione, di cui alla precedente esperienza) io inizio a chiamare altra cancelleria (non quella del post-dibattimento) finché trovo una gentile donna che si prende nota e dice che mi avrebbe fatto richiamare dalla cancelleria competente.

Mi richiama effettivamente nel primo pomeriggio una impiegata, ma mi dice che per avere copia della sentenza bisogna presentarsi lì, con appuntamento che mi dà lei per telefono (mi chiama da numero sconosciuto, e sul sito nulla è indicato – nemmeno delle modalità di prenotazione degli appuntamenti).

Chiedo se posso pagare tramite pagoPA e avere le copie via email, ma mi dice “no avvocato, siamo in pochi e carichi di lavoro”…

Ecco, finché la “burocrazia” ritiene che la telematica faccia allungare i tempi, non c’è speranza.

Fintanto che si ritiene che disposizioni di legge sono ovviabili dall’apparato, ma sono irremovibili per il cittadino (e l’avvocato che lo rappresenta) vivremo al tempo della fondazione dell’Alma Mater – per intenderci, se al 1089 ci fossero stati questi burocrati, l’università più antica del mondo non sarebbe mai sorta! E in questo contesto, con questo apparato burocratico si è svincolata la normazione dell’emergenza dallo stato di emergenza; l’attenzione deve essere alta.

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