Ordinanza 14 agosto 2020 n. 17183 Sezione Prima della Corte di Cassazione
La Prima Sezione della Corte di Cassazione, nel pronunciarsi su un ricorso (peraltro respinto in toto) presentato dalla madre di un figlio di 33 anni con lei parzialmente convivente e in condizioni di lavoro precario che si fondava sulla tesi che non esiste limite di età al diritto di un figlio maggiorenne ma economicamente non autosufficiente a continuare a tempo indeterminato a ricevere un contributo economico del genitore in precedenza obbligato a versare un assegno in suo favore e di mantenere il godimento della casa familiare, coglie lo spunto su innumerevoli aspetti direttamente e indirettamente collegati al mantenimento dei figli di qualsiasi età, ai diritti-doveri dei genitori e all’affidamento condiviso. L’analisi e le riflessioni operate ora dalla Corte di legittimità contrastano in maniera palese con molti dei precedenti assunti della giurisprudenza, nonché della stessa Corte di Cassazione e l’ordinanza in esame potrebbe rappresentare un punto di svolta nell’interpretazione delle norme sull’affidamento.
In primis, con riferimento ad una diversa lettura dell’art. 337 septies cod. civ. (”Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”) posto che la Corte di Cassazione afferma ora che “… l’estraneità del tema al rapporto fra i genitori risulta in modo incontrovertibile dal diritto positivo: l’assegno “è versato direttamente all’avente diritto” con la conseguenza che non solo il genitore “convivente” non avrà più titolo per agire in giudizio contro il genitore obbligato, ma anche che un versamento del contributo nelle sue mani potrà essere contestato dal figlio maggiorenne. La Suprema Corte, nell’evidenziare che l’interazione tra i genitori ai fini del mantenimento di un figlio maggiorenne non fa che accrescere tensioni e malessere, precisa che il Giudice deve prima di tutto verificare che effettivamente il figlio, non per sua colpa, non sia in grado di mantenersi da solo e solo dopo ha la facoltà di emettere un provvedimento in suo aiuto precisando che, riscontrata la sussistenza dei presupposti che fondano il diritto, il soccorso deve essere disposto (“alla raggiunta prova della integrazione delle circostanze che fondano il diritto, il giudice sarà tenuto a disporre l’assegno in discorso”). Ma la Corte, discostandosi da precedenti sentenze di legittimità (es. Cass. n. 1830/2011 subordina la rinuncia al contributo alla percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita), ammette che le ambizioni di un figlio possono essere ridimensionate criticando esplicitamente l’alibi dei maggiorenni di non avere trovato una occupazione adeguata ai propri titoli di studio ed invitando il soggetto maggiorenne di cui si sta occupando (ma il principio è del tutto generale) a ridurre eventualmente “le proprie ambizioni adolescenziali” pur di trovare il modo di auto-mantenersi, con ciò ponendosi in contrasto evidente con tutte quelle interpretazioni assistenzialiste, anche attuali, che privilegiano la tutela del diritto al mantenimento ad ogni costo nel momento in cui afferma che “il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne … perchè sia correttamente inteso, occorre che la concreta situazione economica non sia il frutto di scelte irragionevoli e sostanzialmente volte ad instaurare un regime di controproducente assistenzialismo, nel disinteresse per la ricerca della dovuta indipendenza economica.”.
L’intervento della Suprema Corte appare altresì rilevante poichè determina una inversione dell’onere della prova dal momento che, contrariamente alla costante giurisprudenza precedente, pone a carico del beneficiario maggiorenne la dimostrazione della sussistenza dei presupposti per il mantenimento (“Non è dunque il convenuto – soggetto passivo del rapporto – onerato della prova della raggiunta effettiva e stabile indipendenza economica del figlio, o della circostanza che questi abbia conseguito un lavoro adeguato alle aspirazioni soggettive. Infatti, raggiunta la maggiore età, si presume l’idoneità al reddito, che, per essere vinta, necessita della prova delle fattispecie che integrano il diritto al mantenimento ulteriore.” evidenziando, a tal proposito, che “Ciò è coerente con il consolidato principio generale di prossimità o vicinanza della prova, secondo cui la ripartizione dell’onere probatorio deve tenere conto, oltre che della partizione della fattispecie sostanziale tra fatti costitutivi e fatti estintivi od impeditivi del diritto, anche del principio riconducibile all’art. 24 Cost, ed al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova; conseguentemente, ove i fatti possano essere noti solo ad una delle parti, ad essa compete l’onere della prova, pur negativa (Cass. 25 luglio 2008, n. 20484; nonché ancora Cass. 16 agosto 2016, n. 17108; Cass. 14 gennaio 2016, n. 486; Cass. 17 aprile 2012, n. 6008; Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533; Cass. 25 luglio 2008, n. 20484; Cass. 1 luglio 2009, n. 15406).”
L’ordinanza, ad una prima lettura, sembrerebbe quindi penalizzare i figli maggiorenni di genitori separati ponendo un limite al diritto al mantenimento, anche se in realtà la Corte, nell’ambito di un corretto processo di emancipazione, pone l’accento sul principio fondamentale di autoresponsabilità che investe i figli maggiorenni in quanto cittadini a priori affidabili come tutti gli altri e quindi in grado di autogestire le risorse ad essi destinate.
Vi è ora da capire se questo provvedimento, che comunque assume importanti connotati per gli argomenti trattati e per le soluzioni proposte, troverà adeguata conferma nella prassi giurisprudenziale.